
Anno 1967. Primo Levi riceve il Premio Bagutta per il suo primo libro di racconti, Storie naturali, uscito l’anno precedente da Einaudi. Il 15 gennaio a Milano Riccardo Bacchelli, presidente della giuria, lo incorona vincitore. A riprendere la serata c’è una fotografa milanese, Carla Cerati, che ha da poco iniziato a lavorare come fotogiornalista. Nel 1966 è a Firenze e fissa con la sua macchina la devastazione delle acque dell’Arno. Proprio lì sono annegate le residue copie di Se questo è un uomo stampate nel 1947 da De Silva in deposito della Nuova Italia. Carla Cerati scatta un intero rullino al Bagutta, da cui trae alcune immagini. L’anno dopo realizza con Gianni Berengo Gardin nei manicomi italiani un reportage che resterà memorabile: Morire di classe, edito da Einaudi.
La casa editrice torinese ha stampato il libro di Levi con un altro nome in copertina: Damiano Malabaila. Uno pseudonimo però smentito dalla presentazione nella quarta di copertina, che identifica l’autore dei racconti con chi ha firmato Se questo è un uomo e La tregua. L’uso dello pseudonimo è stato suggerito da Roberto Cerati, direttore commerciale della editrice, marito di Carla. La ragione principale è di marcare una differenza tra l’autore di quei libri sul Lager e colui che ha scritto queste storie di fantascienza. Forse è un indice della scarsa fiducia nel Levi narratore puro, o forse ha giocato la ritrosia dell’autore stesso stretto tra testimonianza e letteratura. Sarà un problema che durerà a lungo, almeno fino alla metà degli anni Settanta, quando escono Il sistema periodico e La chiave a stella. Per la maggior parte dei critici letterari italiani Levi è solo un memorialista, ma non è così. Anche Carla Cerati ha una doppia identità: fotografa e anche scrittrice. Per tutto l’arco della sua vita terrà insieme questi due aspetti della sua personalità artistica. Il suo primo libro narrativo esce nel 1973, Un amore fraterno, presso Einaudi; l’ha seguito Italo Calvino che è anche l’editor di Levi.
Cosa racconta questa fotografia di Primo Levi? Per forza di cose appare molto più giovane delle foto che ne hanno fissato per noi l’immagine da vecchio saggio negli anni Ottanta: è senza barba, i capelli sono scuri, e non indossa occhiali. Ha quarantotto anni, scrive da almeno venti; ha pubblicato tre libri, di cui uno due volte; ha vinto un premio importante con il secondo; non è ancora pienamente riconosciuto. Carla Cerati è una fotografa che, non solo guarda il mondo intorno a lei, ma vede anche. Cosa vede? Un Levi curioso, un poco serio – anche se ride parecchio nelle altre foto; poi una signora della borghesia milanese con occhiali scuri, un altro uomo che parla con loro. Il punctum dell’immagine è la mano di lei, in cui è infilato un vistoso anello e gli occhiali neri, da diva, e ancora la sua collana. Lo scatto sembra anticipare quelli di un suo lavoro successivo, Mondo cocktail, del 1974: serata mondana con donne e uomini in conversazione. Inaugurazioni, esposizioni, premiazioni, aperitivi, salotti, ambienti borghesi. La fotografia di Carla Cerati per raccontare usa il nero più che il bianco o il grigio; tende al contrasto tonale, forte, deciso. Il suo sguardo è decisamente femminile, disincantato e ironico. Qui la donna sembra il centro dell’immagine, anche se lei, Carla Cerati, è lì, al Bagutta per riprendere lo scrittore: conversazione con signora. Chi sarà? Nel retro della foto non c’è scritto. Cosa importa. Non sono molte le foto che ritraggono Levi in situazioni simili. Di solito c’è intorno a lui il mondo della letteratura, quello che lui frequenta quasi da clandestino. In un suo racconto poco conosciuto, uscito nel 1977, racconta una serata mondana simile a questa: Cena in piedi. Per farlo non ha trovato di meglio che travestirsi da animale: il protagonista è un canguro invitato a una serata mondana, dove conversa con una signora.
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